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SCHERMA CORTA: TRADIZIONE POPOLARE TUTTA ITALIANA

L’etimologia della parola Scherma deriva dal verbo schermire, che richiama l’atto della difesa, del ripararsi. Il Vocabolario dell’Accademia della Crusca definisce scherma “il riparare con arte al colpo che tira il nemico e cercare di offenderlo sempre”.

Già da questa definizione si comprende come la scherma non sia stata concepita solamente come uno stile di combattimento, ma come una vera e propria forma d’arte resa famosa soprattutto dalla tradizione italiana. Risalgono al XII secolo le prime documentazioni sulla scherma italiana, diffusa poi in tutta Europa da maestri d’arme come Nerio e Lippo Bartolomei, Achille Marozzo e Gioacchino Meyer.

Com’è noto ai più, la scherma si pratica con la spada. La spada era l’arma tipica dei nobili e dei cavalieri nell’europa medievale e rinascimentale, che veniva utilizzata soprattutto per risolvere diatribe e difendere l’onore. Essa era uno strumento inaccessibile al popolo, che aveva un altro tipo di strumento di difesa e di offesa: il coltello.

Il coltello era un’oggetto di uso quotidiano nella popolazione e, visto il costo minore rispetto alla spada, era accessibile alla maggior parte delle persone, che potevano utilizzarlo per regolare i conti.

Nelle varie regioni d’Italia durante il medioevo si sviluppano stili di combattimento differenti basati su differenti tipi di coltelli che portano alla creazione di una vera e propria scherma di coltello, conosciuta anche con il nome di scherma corta. Questa tradizione si sviluppa fra i civili dove la destrezza nell’utilizzare il coltello era volta all’autodifesa, ma anche in ambienti malavitosi dove questi metodi avevano ben altro obiettivo.

Questa arte marziale di origine italiana non ha una vera e propria tradizione scritta (sono infatti pochi i documenti dove si può attingere per conoscere di più la scherma di coltello) perchè veniva tramandata oralmente.

È possibile riscontrare diversi stili di scherma di coltello praticamente per ogni regione italiana. Nella prefazione del libro di Andrea Buti “Il Coltello genovese: Storia di lame, di armi proibite e di caruggi”, il professore di storia del diritto medievale e moderno Vito Piergiovanni spiega come “lo sviluppo di una vera arte di maneggio del coltello si verificò in sei regioni: Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Corsica. Nelle scuole (ovviamente clandestine) dove s’insegnava ad adoperare il coltello, si seguiva un preciso metodo diverso da regione a regione. Spesso poi gli allievi elaboravano nuove interpretazioni delle azioni tecniche che differivano da quelle dei maestri e capiscuola. Accadeva così che in una stessa città o cittadina, oltre a uno o due metodi principali, ve ne potevano essere altri contaminati“. Questa grande varietà di stili, afferma Piergiovanni, era dovuto al fatto che “in Italia i centri di produzione di coltelli, soprattutto a lama mobile, a causa della frammentazione politica del Paese e anche della scarsa circolazione dei prodotti, furono numerosi e ognuno creò proprie tipologie. La ricchezza di forme italiane non trova riscontro in altri paesi europei, sia per il coltello con caratteristiche offensive sia per quello inteso come strumento di uso quotidiano”.

L’eterogeneità delle varie regioni italiane ha portato alla formazione, quindi, di vari stili di scherma di coltello. Fra i più famosi abbiamo il Coltello Pugliese (unito alla pratica del Bastone Pugliese) del quale non conosciamo le origini a causa della mancanza di fonti scritte ma che affonda le proprie radici nella tradizione contadina dove gli agricoltori avevano sviluppato un sistema di difesa personale che si basava sull’utilizzo del coltello, perfezionato con il tempo e con il tramandamento orale delle tecniche.

Queste tradizioni andavano di pari passo con il tessuto sociale e le leggi presenti sui diversi territori in materia di detenzioni di armi. Molti coltelli infatti venivano messi al bando per via della loro insidiosità in caso di combattimento. Esplicativa è la storia del Tagan, chiamato anche coltello alla genovese o all’uso genovese, che, essendo stato protagonista di alcuni delitti nella città di Genova, il 9 settembre 1699 il Consiglio dei X della Serenissima Repubblica di Genova assunse uno specifico provvedimento per rinnovare la proibizione dell’uso di tale coltello nella zona del porto. Questi tipi di provvedimenti, che venivano applicati nelle varie regioni italiane, fecero si che la tradizione della scherma di coltello si ghettizzasse e si mimetizzasse nel substrato popolare, a tal punto che le varie tecniche venivano insegnate e tramandate attraverso danze popolari come la pizzica e la tarantella.

L’arte marziale della scherma di coltello in sostanza trova la sua origine in Italia, e la bravura degli italiani nel maneggiare i coltelli era riconosciuta in Europa: alcuni documenti riportano come in Svizzera soprannominarono i tiratori di coltello italiani chevaliers de couteau (cavalieri del coltello).

La scherma di coltello è ad oggi un’arte marziale riconosciuta e praticata, ma anche in continua evoluzione. Sono tanti i praticanti di questa arte e molti i maestri d’armi. Fra i più importanti in Italia e all’estero abbiamo Danilo Rossi Lajolo, colui che ha ideato l’omonimo “metodo Lajolo“, unico metodo riconosciuto a livello nazionale ed internazionale dalla Accademia di Scherma di Napoli e dalla AAI Accademia dei Maestri D’armi.

Una storia tutta italiana quella della scherma di coltello che ad oggi vede sempre più appassionati di quella che è a tutti gli effetti una disciplina sportiva (tanto che sono stati introdotti strumenti tecnologici, molto simili a quelli utilizzati nella scherma sportiva, per svolgere le gare) che affonda le proprie radici nella tradizione orale come un canto o una danza popolare.

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